top of page

I sogni e l'arte di scrivere

Lo so, il titolo è piuttosto pretenzioso, me ne rendo conto. Ma è vero che alcune idee a volte arrivano in sogno. Si dice che Thomas Edison(*) quando cercava idee si mettesse a dormire su una poltrona con delle biglie di ferro in mano e dei vassoi metallici in terra. Quando (cedendo ai prodromi del sonno) perdeva la presa sulle biglie, queste cadevano e, facendo rumore, lo svegliavano. Lui immediatamente scriveva sugli appunti le immagini che gli erano venute in mente, prima di dimenticarle.

Io non faccio come lui e non sono uno che tiene un diario dei sogni (preferisco concentrarmi sulle cose della veglia, non ho incubi credo da trent'anni o più, inoltre alcuni dei miei sogni sono avventure da romanzo, forse per via della mia attività letteraria, chissà). Tuttavia mi interessa tenere spunti creativi che potrebbero tornarmi utili in seguito. Ma i sogni si dimenticano facilmente, per la nostra stessa fisiologia. Così a volte prendo appunti su certi dettagli che ho sognato (generalmente molto concisi) e li lascio lì, tra gli appunti. Capita ogni tanto che sia in cerca di idee, così apro gli appunti, scorro le idee abbozzate, le citazioni famose e i frammenti di sogno che vi ho scritto negli anni. A volte ne viene fuori qualcosa di utile.

Messa giù così, però, è una cosa troppo astratta, così vi propongo un esempio pratico. L'anno che morì mio padre (prima di cominciare il restauro di casa e ricominciare a vivere) sognai di essere il guardiano di un obitorio. Piuttosto comprensibile, immagino. Non fu un incubo. Ecco, sugli appunti scrissi:

“Sogno: guardiano dell’obitorio.”

Conciso. Inutile perdersi in troppi dettagli, in fondo. Diverso tempo dopo, mentre stavo scrivendo il terzo volume del ciclo dei Negromanti ("La Valle di Tuonetar"), c'era una scena che mi sembrava risultasse un po' banale, asettica, che non evocava le emozioni giuste. Presi gli appunti, trovai quello e mi dissi che potevo farne buon uso. Ecco come divenne:

(...)

Vidar , seduto sulla sedia a vegliare la salma, si sente tremendamente solo, come se fosse l’unico rimasto vivo in un mondo interamente morto.

Il luogo è freddo, grigio e cupo. La vasta sala, male illuminata, è piena di tavoli su cui giacciono centinaia di persone, ciascuna ricoperta da un lenzuolo bianco. Vidar si aggira tra i tavoli, solleva di tanto in tanto un lembo, come per controllare che tutto sia in ordine. Volti noti e altri sconosciuti si rivelano dai lembi sollevati. Vittime di guerra, soldati, parenti, anziani, giovani, bambini si alternano senza un ordine particolare… La morte li ha resi tutti simili a