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Motive e Cold Case, storie di persone

Mi sono imbattuto in due serie "Crime" molto diverse tra loro: l'americana "Cold Case" e la canadese "Motive". Per qualche tempo mi sono chiesto cosa trovassi davvero attraente in queste due serie, cosa ci fosse ad accomunarle, perché le vedevo affini. Una domanda forse futile e non complessa, me ne rendo conto, ora che ho realizzato qual è il nesso: mi sono reso conto che è il fatto che al centro della trama non ci sono gli investigatori (umani o quasi supereroi che siano), come accade per la gran parte dei "gialli", ma le persone. Che si tratti di testimoni, vittime o carnefici, sono le persone ad essere al centro di tutto. Con le loro storie drammatiche, toccanti o semplici. E gli investigatori non sono che un legante.

In "Motive" si racconta di gente comune, con storie talvolta struggenti, travolte da eventi tanto più grandi di loro da suscitare spesso una grande pena. Niente eroismi, poche sparatorie, poca "azione". In "Cold Case" le storie si dipanano qua e là nel tempo, ricostruite con le testimonianze di persone che ricordano la propria gioventù, e ancora una volta sono le persone comuni (o apparentemente tali) al centro dell'attenzione, spesso travolte ancora una volta da eventi su cui hanno solo un'illusione di controllo. Non criminali/eroi/antieroi alla "Gomorra", non supereroi anticrimine come Holmes, non l'adolescenziale e irreale azione a ogni costo di "Hawai Five O" (dove uccidere e picchiare sembrano diventare improvvisamente un giusto obiettivo purché ci sia un piatto stereotipo di cattivo impersonale all'altro capo che "meriti" queste cose) nemmeno le intelligenti partite a scacchi con gli assassini di Colombo (sebbene "Motive" faccia vedere dalla prima scena chi sono la vittima e chi il suo assassino, svelandone pian piano le ragioni), né i fastidiosi serial killer così diffusi ovunque in TV (fantasie morbose che li rendono più horror che crime, secondo me).

Su quest'ultimo punto voglio chiarire perché le definisco "fastidiose". La follia è la rinuncia a una spiegazione. Dire "è matto" (anche se magari con trama elaborata e nelle varianti di questa follia) è rinunciare a costruire qualcosa che possiamo riconoscere e confrontare, perciò no, non mi piacciono le fiction che parlano di omicidi seriali e dei loro metodi raccapriccianti (anche se tollero quelle che lo fanno occasionalmente). Non tutti i gusti sono alla menta, non dico che dovete concordare con me, ma non sono proprio nelle mie corde, le trovo noiose perché non provo il minimo interesse per i loro soggetti. Invece gradisco "Cold Case" e "Motive" perché sono serie poetiche, educate, con la tragedia come fulcro, ma usata con tatto senza diventare emozionalmente devastante (come accade per alcuni film, che rischiano di travolgere come le vicende che narrano). La tragedia, un genere che ci attrae in qualche modo da sempre, dalla Grecia classica a Shakespeare, non è un caso che ci abbia dato titoli immortali tra i più antichi. Credo sia perché in fondo vediamo in essa una versione controllata delle emozioni che travolgono noi o le persone che ci circondano nella vita quotidiana.

Per tornare al tema, in queste due serie TV c'è un finale, qualcuno che rimette ordine nelle cose, ed è stranamente quasi confortante, sebbene la morale sia spesso "la vita è ingiusta". Contrariamente al quotidiano, dove la tragedia rimane tale, sospesa, senza risposte, e prima o poi colpisca tutti, qui viene messo ordine e resta l'emozione. Trovo sia "Cold Case" che "Motive" due belle serie ma (soprattutto alcune puntate di Motive), piuttosto impegnative dal punto di vista emozionale, se siete empatici.

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