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Buonanotte, stellina mia


La mia mamma è una di quelle signore anziane col sorriso facile, uno di quei sorrisi che ti scalda dentro. E’ nata durante la seconda guerra, sa cosa vogliono dire bombardamenti, persecuzioni e rivoluzione. Era molto giovane quando nel pacco di aiuto dall’America giunse un cappottino rosso, dono della cugina d’oltreoceano, Georgine, che ha sempre avuto un posto speciale nel suo cuore. E così un cappotto rosso è tornato anche in seguito, perché le ricordava quel dono. La mia mamma ha lavorato duramente, ha vissuto povertà, crisi, indebitamento. E’ stata una giovanissima operaia, poi una sarta sfruttata nei sottoscala, è anche stata venditrice di pentole. Ma, soprattutto, è sempre stata una persona forte e buona, una di quelle che farebbe qualsiasi cosa per i figli e la famiglia. Come quasi ogni mamma, si dovrebbe dire, eppure so che lei era sempre un po’ più in là delle altre. Forse sono di parte, lo ammetto, ma so quanto ha fatto. Ha sacrificato tutto per noi. Ho avuto la fortuna di non perderla presto, perché rischiò grosso, ormai trent’anni fa, il suo cuore resse per un pelo. Ma se la cavò. Mi ha accompagnato tutta la vita, anche quando ero distante, nei mesi a Roma o altrove, con parole dolci, comprensive. Odiava vederci litigare, cercava sempre di farci fare pace in fretta.

Ho avuto quel raro privilegio di poter godere della sua presenza per tanto tempo. Negli ultimi quindici anni ho spesso pensato a quanto sia stato fortunato a poterla avere con me e tornavo a casa felice. Solo due anni fa, già ultraottantenne e molto fragile, ha insistito per farmi le tende della biblioteca. Voleva sempre essere d’aiuto, cucinava per un reggimento quando mio fratello era con noi, come a volerci coccolare col cibo. C’è una ragione se sono sempre stato sovrappeso: cucinava divinamente.

Poi arriva quest’ultimo, infernale anno. Disastro, infermità, disabilità,