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La banalità del male

"La banalità del male". Quando per la prima volta lessi questa definizione non mi resi conto di cosa davvero significasse. Sì, conoscevo il contesto, eppure mi sfuggiva il vero contenuto. Col tempo ho imparato a vedere, passo dopo passo, gli esempi intorno a me. Il ripugnante "gigante buono" che "fa una stupidata" (sic), le lacrime di coccodrillo di Misseri che ha commesso/coperto l'omicidio della nipote, lo spergiuro di una madre omicida, i vicini Rosa e Olindo che si sentono in dovere di rendersi giudici, giuria e carnefici di una famiglia perché rei di tollerare qualcuno (non presente) che odiano, le "ragazzate" (sic) di "bulli" pre-adolescenti che fanno scoppiare con un compressore l'intestino di un compagno, giustificati dai genitori. Tutti esempi di persone "normali" (tra virgolette perché trovo che "normale" sia una definizione assurda, ma a discuterne andremmo per le lunghe) che commettono cose ripugnanti. Perché la banalità del male è qui, intorno a noi, ed è a volte evidente, come l'uomo che prende a calci un bambino. Evidente per noi, ma non per lui.

A volte lo è meno.

Di certo nei casi citati lo è dopo aver visto ricostruiti gli eventi, ma non lo era in tempo per evitarli, a quanto pare. Eppure la banalità del male è la medesima per cui persone comuni (che ora ci sembrano lontane, ma che erano i nostri bisnonni) non hanno saputo evitare di finire nella macchina omicida che fu il nazismo, o che fu lo stalinismo. La stessa per cui fino a meno di due secoli fa i poveri erano spazzatura, le donne...

Oh, questo è un argomento ancora attuale.

C'è tanta strada da fare ancora, sulla discriminazione: lo stupro è un delitto contro la persona dal 1996, prima era "contro il costume", un po' come se mi mettessi a orinare in pubblico, come se fosse la stessa categoria di cose. Inoltre, la pubblica indignazione si spegne di fronte alle cose che ci prendono per la pancia. Ho sentito gente dire che se i profughi sui barconi crepano se lo meritano, tanto per ricordarla così. Ai miei occhi chi lo dice è un mostro ripugnante, preda della banalità del male, anche quando si tratta di qualcuno che conosco, frequento o cui voglio bene.

La banalità del male è sempre lì, in agguato, con le sue varianti. Ripugnante, abietta, esecrabile.

Richiede tanta attenzione non caderci, perché esiste quella condizione labile del "se lo merita" che per qualcuno è essere una donna che gestisce il proprio corpo (anche se si stuprasse una prostituta, per estremizzare la cosa, resterebbe uno stupro; ma gestire il proprio corpo non è automaticamente essere in quella condizione), oppure essere del partito politico sbagliato, una religione differente, una origine nazionale/regionale sbagliata (a scelta, ce n'è per tutti contro tutti), essere parte di una minoranza (come essere omosessuale), o il fat-shaming (che sostiene il diritto di poter bullizzare/umiliare un obeso "per il suo bene": rabbrividisco al pensiero di quanto sia facile sdoganare il male, senza curarsi di quanto sia tremendo doverlo sopportare e per di più sentirsi dire "è per il tuo bene").

O per qualcun altro è un confine diverso, più o meno estremo ("i pedofili", categoria davvero tra le più esecrabili, sono da quasi tutti considerati tra coloro per cui i diritti potrebbero venir ritirati, ad esempio, per cui il carcere non è mai abbastanza, li si vedrebbe volentieri torturati in pubblico, perché non ci sembra mai abbastanza rinchiuderli, e metto il "ci", perché includo me stesso tra chi li ritiene il peggio). Delitto e castigo, giustizia e vendetta, hanno confini che stabiliamo noi.

No: non ci sono "giganti buoni che hanno fatto stupidate", solo persone che non hanno la percezione di cosa sia l'orrore, di quanto facile e banale sia passare quel confine tra "normalità" e male assoluto.

Ripugnante, ingiustificabile, facile e banale.

"La banalità del male" è anche un libro sul caso di Eichmann, il criminale nazista.

Per saperne di più:

Il libro è sempre attuale, lo trovate qui:

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