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Pensieri sparsi: libertà e violenza.

La strage dei fumettisti francesi da parte di un commando di integralisti islamici ha suscitato clamore su un argomento che mi sta a cuore: la libertà di opinione.

In Europa siamo liberi di pensare ciò che vogliamo, di prenderci gioco di chi vogliamo, di ironizzare su qualsiasi cosa, talvolta anche con cattivo gusto. Colpire la società più aperta ed inclusiva, quella francese, dove chiunque viene protetto per le sue opinioni è un attacco a tutti noi, che difendiamo la libertà di espressione, anche quando ci fa incazzare. Abbiamo difeso persino la loro (non occorre ribadire "loro" chi siano), quando non sparavano per ricordarci che siamo noi a credere nella libertà, il cui colore, rosso, viene riportato in ogni bandiera in modo tanto astratto che di rado ci ricordiamo com'è che ci è arrivato: col sangue di chi ci ha creduto.

Una frase di George Orwell (l'autore di capolavori quali "1984" e "La Fattoria degli Animali") chiarisce bene il mio pensiero sull'argomento: "Se la libertà significa qualcosa, allora significa il diritto di dire alla gente cose che non vuole sentire."

Mi ha fatto piacere notare come in tutto il mondo la satira abbia risposto con voce unanime, dimostrando che se ne zittisci uno ne compaiono cento a prenderne il posto, rovesciando nei fatti l'obiettivo dei terroristi. Volevano impaurire e cancellare quel nemico sottile, il libero pensiero, così 'pericolosamente' difforme dal loro, così evidentemente spaventoso da volerlo far tacere a costo della propria stessa vita. Hanno invece contribuito involontariamente a diffonderlo capillarmente, con quello che nel calcio sarebbe ricordato come un autogoal impressionante.

Perché mi ha fatto piacere?

Perché forse altri accenderanno il cervello, prima di cedere alla tentazione di usare la violenza.

La libertà di pensiero e di opinione va, a mio avviso, al di là di cosa viene espresso. Gli stessi fumettisti di Charlie Hebdo sono stati sovente di parte o di cattivo gusto, ma la satira non infrequentemente appare così agli occhi di chi non la pensa come l'autore delle vignette.

Tuttavia non è questo il punto. Perché giustificare l'atto violento contro qualcuno con frasi come "se la sono cercata" equivale a chiudere gli occhi su un problema più grave.

La privazione della libertà di espressione.

E' un tema scottante, reso sempre evidente durante ogni periodo in cui le dittature hanno soppiantato le democrazie, in ogni luogo in cui accade. In proposito mi vengono in mente le parole di Martin Niemöller sull'inattività degli intellettuali tedeschi in seguito all'ascesa al potere dei nazisti e delle purghe dei loro obiettivi scelti, gruppo dopo gruppo:

«Quando i nazisti presero i comunisti,

io non dissi nulla

perché non ero comunista.

Quando rinchiusero i socialdemocratici

io non dissi nulla

perché non ero socialdemocratico.

Quando presero i sindacalisti,

io non dissi nulla

perché non ero sindacalista.

Poi presero gli ebrei,

e io non dissi nulla

perché non ero ebreo.

Poi vennero a prendere me.

E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa.»

Non ha davvero importanza cosa sia stato detto, se fossimo d'accordo oppure no, se consideriamo appropriate o irritanti le affermazioni che vengono dette. Il concetto fondamentale è che se non difendiamo la libertà di espressione (pur con tutti i problemi che ne conseguono e le irritazioni accessorie), apriamo la strada a qualcosa di peggio.

Dicendo "eh, però loro...", mettendo questo apparentemente innocuo distinguo su qualcosa di ingiustificabile come una strage, apriamo la strada a chi, un giorno, zittirà, con violenza o paura, proprio noi.

P.S. L'immagine cita una delle tante interpretazioni del pensiero originale di Niemöller. Talvolta questa frase viene attribuita anche, erroneamente, a Brecht.

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